La Camera dei deputati ha approvato in prima lettura il disegno di legge delega per la riforma del Terzo settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del Servizio civile universale. «Uno dei più importanti provvedimenti di questa legislatura», nelle parole della relatrice Donata Lenzi (Pd). Il provvedimento riforma organicamente la disciplina riguardante il volontariato, la cooperazione sociale, l’associazionismo non-profit, le fondazioni, le imprese sociali.

Per approfondimenti si rinvia all’iter del provvedimento (AC 2617 e abb.) e ai  dossier di lettura del Servizio studi di Montecitorio.

 

 

I NUMERI DEL TERZO SETTORE IN ITALIA

Capillare, produttivo, in costante e rapida espansione. Il Terzo settore rappresenta una delle realtà economiche, sociali e giuridiche più rilevanti e dinamiche del nostro paese. Nel corso degli anni, il mondo del non-profit e il network degli enti e delle associazioni che rientrano in questa categoria, si sono arricchiti e sviluppati su tutto il territorio nazionale. L’Istat rileva che, nel decennio 2001-2011, il settore ha registrato una crescita superiore a qualunque altro settore produttivo italiano, con un incremento del 28 per cento degli organismi e del 39,4 per cento degli addetti. Sono quasi 5 milioni i volontari che prestano servizio gratuito, 680 mila i dipendenti, 270 mila i collaboratori esterni e 6 mila i lavoratori temporanei. Una galassia che coinvolge il 6,4 per cento delle complessive unità economiche attive.

Ma cosa è il Terzo settore? L’articolo 18 della Costituzione sancisce che «i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale». Un diritto-cardine per ogni Stato liberale. Alcune associazioni assumono però un rilievo particolare per il loro contributo pubblico in termini di attivazione di processi solidaristici e di capacità coesiva. Il primo intento del provvedimento in oggetto è quello di riaffermare in questi termini l’identità del settore.

Settore che è in realtà una costellazione, rappresentando una delle risorse più variegate e importanti del tessuto socio-economico italiano, anche sotto il profilo della tutela sociale. Il 38  per  cento  ha  natura  mutualistica,  orientando  la  propria  attività  sui  bisogni  degli associati; la maggioranza è invece tesa al benessere della collettività. La stragrande maggioranza di queste associazioni – i due terzi – ha entrate inferiori ai 30 mila euro.

Notevole il peso della componente non-profit nell'assistenza sociale: coinvolge 225 mila addetti, pari al 33,1 per cento del totale. Quanto alle attività, il settore della cultura, sport e ricreazione assorbe oltre 195 mila realtà, seguito dall’assistenza sociale, con 25 mila realtà, dalle relazioni sindacali e rappresentanza di interessi, che esprime 16 mila istituzioni e dall’istruzione-ricerca, con 15 mila operatori sul territorio. Sotto il profilo della distribuzione geografica, il Terzo settore è cresciuto in particolare nelle aree forti del Centro e del Nord: Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia Romagna, Toscana e Lazio sono le regioni maggiormente coinvolte.

 

GLI ATTORI DEL NONPROFIT (NELLA GIUNGLA DELLE NORME)

La galassia del Terzo settore è composta da una serie di attori diversi per organizzazione del lavoro, status giuridico, struttura.

 

•    Le organizzazioni non lucrative di utilità sociale (Onlus), disciplinate dal decreto legislativo n. 460 del 1997, che riconosce a tali realtà un regime tributario di favore in considerazione delle finalità di solidarietà sociale perseguite. Possono dunque qualificarsi come Onlus le associazioni con o senza personalità giuridica, i comitati, le fondazioni, le società cooperative e altri enti di carattere privato purché perseguano finalità di solidarietà sociale. Vi rientrano inoltre tipologie che troviamo in seguito elencate, quali le Ong o le organizzazioni di volontariato. La normativa di riferimento non indica quindi una tipologia giuridica aggiuntiva di diritto civile, ma una specifica categoria di diritto tributario.

•    Le organizzazioni non governative (Ong), specializzate nella cooperazione allo sviluppo e regolamentate dalla legge n. 49 del 1987, che a breve sarà abrogata, come previsto dalla legge n. 125 del 2014. Quest’ultima norma definisce una nuova governance del sistema della cooperazione attraverso l’istituzione di una serie di organismi partecipati dalla società civile e dai partenariati internazionali.

•    Le organizzazioni di volontariato, regolamentate dalla legge n. 266 del 1991, che definisce il volontariato come attività prestata in modo personale, spontaneo e gratuito, senza fini di lucro, anche indiretto, ed esclusivamente per fini di solidarietà. La legge non individua i settori nei quali le organizzazioni devono operare e prevede che possano assumere forma giuridica compatibile con lo scopo solidaristico. Tra le fonti economiche accessibili a tali organizzazioni, oltre alle sottoscrizioni pubbliche e private, da ricordare anche il Fondo previsto dall’articolo 15 della suddetta legge 266 del 1991, istitutiva dei centri di servizio per il volontariato (Csv).

•    Le cooperative sociali, di cui al Codice civile (art. 2512), sono destinate dalla legge n. 381 del

1991 ad occuparsi della gestione dei servizi socio-sanitari (tipo A) o allo svolgimento di attività produttive finalizzate all’inserimento di persone svantaggiate (tipo B). Le cooperative sono caratterizzate dal voto capitario dei soci, vale a dire dal fatto che ogni socio ha diritto a un voto in assemblea, indipendentemente dal valore della propria quota di capitale sociale.

•    Le associazioni di promozione sociale, istituite dalla legge 383 del 2000. Possono essere associazioni riconosciute e non, movimenti e gruppi, purché svolgano attività di utilità sociale a favore di associati o terzi, senza scopo di lucro e garantendo il rispetto della libertà degli associati. Si esclude espressamente che rientrino nella categoria i partiti politici, le organizzazioni  sindacali  e  professionali  e  le  associazioni  che  pongano  limitazioni  alle condizioni economiche degli associati o discriminazioni in relazione all’ammissione dei medesimi.

•    Le imprese sociali, introdotte dalla legge n. 118 del 2005 e disciplinate dal decreto legislativo n. 155 del 2006. Sono «organizzazioni private senza fini di lucro che esercitano, in via stabile e principale, un’attività economica di produzione o di scambio di beni o di servizi di utilità sociale, diretta a realizzare finalità di interesse generale»: una qualificazione che può essere assunta da soggetti costituiti con qualsiasi forma giuridica. Tra i soggetti che compongono il Terzo settore sono i più orientati al mercato, dal momento che svolgono normale attività imprenditoriale e sono iscritti al Registro imprese della Camera di commercio. Le imprese sociali devono, per loro natura, rispettare i contratti di lavoro e ascoltare gli stakeholders. Prevedono regole specifiche per il personale impiegato e vincoli sui beni o servizi prodotti, che devono perseguire obiettivi di utilità sociale.

 

UNA RIFORMA NEL SEGNO DELLA PARTECIPAZIONE

La fotografia del settore restituisce un panorama eterogeneo sia nelle forme delle realtà operanti, sia nella disciplina che ne regola le attività. La forma prevalente è quella dell’associazione non riconosciuta, cioè priva della personalità giuridica, che copre il 66,7 per cento dei casi. Segue la tipologia dell’associazione riconosciuta, con personalità giuridica e autonomia patrimoniale, che riguarda il 22,7 per cento delle realtà. Importante anche l’apporto delle cooperative sociali (3,7 per cento) e delle fondazioni (2,1 per cento). Altre forme giuridiche riguardano il restante 4,8 per cento del comparto.

A tale eterogeneità nelle forme associative ha corrisposto finora una disciplina di riferimento frammentaria e disorganica. L’insieme delle fonti di diritto coinvolge da una parte le norme di carattere generale sulle entità con finalità altruistiche contenute nel Codice civile, e dall’altra una pletora di specifici interventi legislativi settoriali, anche di natura tributaria e fiscale, che è andata aumentando in volume e complessità nel corso degli anni. Grava l’assenza di una definizione normativa “positiva”, che vada oltre la caratterizzazione in negativo dell’assenza di fini di lucro (non-profit).

 

Non deve dunque stupire se per lungo tempo non si sia registrata una piena concordanza di significati in ordine agli elementi caratterizzanti il Terzo settore. Solo puntuali interventi normativi e giurisprudenziali1  hanno tentato di meglio definire il perimetro delle realtà interessate. Negli anni, si sono andate profilando di fatto tre condizioni essenziali: la natura privata dei soggetti, l’assenza dello scopo di lucro e lo svolgimento di attività socialmente rilevanti. Tuttavia, nell’ordinamento italiano, è mancata finora una disciplina organica che individuasse e valorizzasse a pieno le modalità di azione di una sfera che risponde a logiche diverse rispetto all’impresa di mercato.

 

«Non dunque una semplice riserva, ma un nuovo spazio, sociale e giuridico, in cui la società civile emerge come soggetto collettivo. Uno spazio in cui la persona non ricopre più soltanto il tradizionale ruolo di destinataria di beni e servizi, ma diventa attrice essa stessa nel campo economico e sociale» (Fondazione  Astrid).

Questo lo spirito di partecipazione e sussidiarietà che anima la legge delega sulla riforma del Terzo settore. Obiettivo del provvedimento è riorganizzare, uniformare e coordinare  il  comparto,  anche attraverso l’armonizzazione  degli  incentivi  e  degli strumenti di sostegno, al fine di edificare un rinnovato sistema che favorisca la partecipazione attiva e responsabile delle persone, singolarmente o in forma associata, per valorizzare il potenziale di crescita e occupazione insito nell'economia sociale.

 

LITER DEL PROVVEDIMENTO

 

La legge delega è arrivata al voto dell’Aula di Montecitorio un anno dopo la presentazione da parte del Governo delle linee guida per la riforma del Terzo settore. Il 13 marzo 2014 l’Esecutivo ha licenziato il primo testo, aprendo su di esso una consultazione online terminata  il  13  giugno.  Il  confronto  ha  coinvolto  mille  soggetti,  in  maggioranza esponenti e rappresentanti di organizzazioni, e si è chiuso con proposte e suggerimenti recepite in una successiva bozza. Ne è seguito, il 22 agosto, il varo del disegno di legge governativo incardinato in Commissione alla Camera il 1 ottobre 2014. Al disegno di legge sono state abbinate alcune proposte di iniziativa parlamentare (AC 2071, AC 2095, AC

2791); in seguito, nella seduta del 25 novembre, il progetto governativo è stato adottato come testo base.

 

L’esame in sede referente ha impegnato la Commissione Affari sociali fino al 31 marzo 2015. Nel corso dell’iter sono stati auditi quarantasette soggetti, tra enti privati e pubblici. La  discussione  si  è  svolta  in  ventiquattro  sedute,  e  ha  dato  vita  a  un  vivace  e approfondito lavoro che ha modificato significativamente il disegno di legge iniziale, anche recependo i pareri espressi dalle Commissioni in sede consultiva. Ne risulta un testo con modifiche nei criteri di delega, ma anche arricchito di nuovi elementi e di materie inizialmente escluse dal decreto originario.

 

 

GLI ELEMENTI DELLA RIFORMA

Il testo del disegno di legge governativo in oggetto (AC 2617) è stato ampiamente modificato dalla Commissione Affari sociali in sede referente, anche a seguito dei pareri espressi in sede consultiva dalle altre Commissioni. Dai 7 originari, la legge delega conta ora 11 articoli. Il testo interviene su quattro direttrici: la riforma del Codice civile nelle parti in cui regola l’attività delle associazioni e delle fondazioni; la costruzione e definizione di un codice del Terzo settore; l’aggiornamento dell'impresa sociale e, infine, l’istituzione di un riformato servizio civile universale.

 

Finalità della legge delega

Spetta all'articolo 1 individuare e disciplinare la finalità e le linee generali dell'intervento normativo. Il testo prevede che il Governo adotti, entro dodici mesi dall'entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi volti a sostenere la libera iniziativa, personale e associativa, finalizzata al bene comune, all’incremento dei livelli di coesione e protezione sociale e all'inclusione e il pieno sviluppo della persona.

 

Il Terzo settore viene qui definito “in positivo”, non è più mera attività non-profit, ma «complesso degli enti privati costituiti per il perseguimento senza scopo di lucro, di finalità civiche e solidaristiche e che, in attuazione del principio di sussidiarietà e in coerenza con i rispettivi statuti o atti costitutivi, promuovono e realizzano attività d’interesse generale anche mediante la produzione e lo scambio di beni e servizi di utilità sociale nonché attraverso forme di mutualità». Vengono esplicitamente esclusi dal novero i partiti politici, i sindacati, gli organismi di rappresentanza professionali e quelli categoriali.

 

Garanzie costituzionali e semplificazione

L'articolo 2 individua i criteri generali cui devono uniformarsi i decreti legislativi, tra cui la garanzia del più ampio diritto di associazione, la promozione dell'iniziativa economica privata svolta senza fini di lucro, il riconoscimento dell’autonomia statutaria degli enti. Particolare importanza è data alla semplificazione della normativa vigente.

 

Associazioni e fondazioni nel Codice civile

I principi di revisione del Codice civile in ordine alla disciplina sulle associazioni e sulle fondazioni trovano spazio nell’articolo 3. Tra le linee guida indicate, la semplificazione del procedimento per il riconoscimento della personalità giuridica, l’aggiornamento della disciplina sul regime della responsabilità limitata degli amministratori, il consolidamento delle garanzie dei soci e una nuova regolamentazione per fondazioni o associazioni che svolgano rilevanti attività imprenditoriali. Scopo di tali linee guida, è far emergere realtà medio-grandi, incoraggiandole ad assumere personalità giuridica.

 

Un codice per il terzo settore

L'articolo 4 stabilisce i criteri per la realizzazione di un nuovo codice del Terzo settore, che raccoglierà la disciplina in materia dopo l’entrata in vigore di tutti i decreti delegati. È evidenziata la necessità di istituire un registro unico del settore. Si profila dunque il superamento della molteplicità dei registri locali e nazionali. Il nuovo registro unico, la cui responsabilità di gestione dovrà essere posta in capo al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, si porrà come porta di accesso ai benefici fiscali. L’iscrizione dovrà essere obbligatoria per i soggetti che si avvalgono di finanziamenti pubblici, europei o di fondi privati raccolti attraverso pubbliche sottoscrizioni. Iscrizione tassativa anche per le realtà che esercitano attività in convenzione con enti pubblici.

 

Volontariato e associazioni di promozione sociale

L'articolo 5 individua i principi che devono ispirare una riforma organica della disciplina sulle organizzazioni di volontariato e sulle associazioni di promozione sociale. Viene richiamata in particolare la necessità di valorizzare i principi di gratuità, democraticità e partecipazione dell’iniziativa volontaristica. Si delega inoltre il Governo ad intervenire per aggiornare, armonizzare e coordinare la normativa vigente. Si profila inoltre un intervento sul ruolo dei centri di servizio per il volontariato, previsti dalla legge n. 266 del 1991 e incaricati di fornire formazione, supporto tecnico e sostegno alle piccole associazioni del territorio. I centri di servizio dovranno acquisire personalità giuridica ed essere guidati da organi di coordinamento di livello regionale, ma senza che questo comporti spese a loro carico.

 

Rilancio dell’impresa sociale

L’articolo 6 si propone l’obiettivo di rilanciare l'impresa sociale, istituita nel 2006. In coerenza con quanto indicato dalla Commissione europea al Parlamento europeo nel 2011, si richiede di definire tale soggetto come impresa privata con finalità di interesse generale, avente come obbiettivo primario la realizzazione di impatti sociali positivi mediante la produzione e lo scambio di beni e servizi di utilità sociale e che destina i propri utili prevalentemente al raggiungimento di mission sociali. Si fa esplicito riferimento alla necessità di determinare gestioni “responsabili e trasparenti” e al bisogno di definire una  disciplina  che  allenti  alcuni  vincoli  nel  riparto  degli  utili,  permettendo  anche  la presenza nei consigli di amministrazione di rappresentanti di enti pubblici e di aziende profit e non-profit, a patto che non ricoprano ruoli di direzione. La distribuzione e la retribuzione degli utili potrà svolgersi in analogia alle cooperative a mutualità prevalente. Prevista infine l’acquisizione di diritto dello status di impresa sociale per le cooperative sociali  e  per  i  loro  consorzi.  Ne  risulta  un  impianto  coerente  con  quanto  chiesto dall’Europa, che ha definito e individuato nell’impresa sociale un attore fondamentale dell’economia sociale.

 

Controllo e vigilanza

L'articolo 7 individua i criteri che dovrà seguire la riforma delle funzioni di vigilanza, monitoraggio e controllo sugli enti del Terzo settore. Sarà il Ministero del lavoro, in collaborazione con i ministeri interessati e con l'Agenzia delle entrate, a doversene occupare. Inserite indicazioni in materia anche negli articoli 4 e 6, che indicano la necessità di consolidare le funzioni di vigilanza interna ai soggetti con il rafforzamento dei collegi  sindacali.  Il  medesimo  articolo  indica  inoltre  i  criteri  per  realizzare  nuovi strumenti  di  valutazione  di  impatto  sociale.  Contrariamente  a  quanto  avviene  in Europa, dove è comune una cultura della valutazione d’impatto anche in materia di formazione professionale, inserimento lavorativo e scelte in materia di salute, in Italia, fino ad oggi, non si è mai andati oltre alla valutazione d’impatto ambientale. Si è voluto quindi fare un salto di qualità inserendo uno strumento di valutazione qualitativa e quantitativa sul breve, medio e lungo periodo degli effetti sulla comunità di riferimento delle attività svolte dalle pubbliche amministrazioni.

 

Verso un servizio civile universale

L'articolo 8 sottolinea la necessità riformare il servizio civile nazionale per i giovani tra i 18 e i 28 anni, traghettando l’attuale sistema verso un nuovo “servizio civile universale” finalizzato alla difesa dei valori fondativi della patria, attraverso la realizzazione di esperienze di cittadinanza attiva, di solidarietà e inclusione sociale. La delega indica inoltre il bisogno di definire uno stato giuridico specifico per chi presta un tipo di servizio che non deve in alcun modo essere associabile ad un rapporto di lavoro e dunque non deve essere soggetto a tassazione.

Si richiama il bisogno di pervenire a un meccanismo di programmazione triennale dei contingenti e di prevedere un limite di durata del servizio, non inferiore agli otto mesi complessivi, e comunque non superiore a un anno. L’organizzazione delle attività dovrà contemperare le finalità del servizio con le esigenze di vita e di lavoro del giovane, le cui competenze acquisite sul campo andranno riconosciute e valorizzate.

 

Fiscalità e 5 per mille

Con l'articolo 9 si intende raccordare la disciplina civilistica con quella tributaria, risolvendo problemi interpretativi che negli anni hanno aumentato enormemente il contenzioso e reso spesso difficile la vita alle associazioni dove più forte è lo spirito associativo e volontario, che si sono trovate a fare i conti con richieste a volte difficilmente comprensibili. La materia dovrà essere razionalizzata e armonizzata, secondo criteri che dovranno orientare le misure agevolative e di sostegno del Governo.

L’articolo delega inoltre l’Esecutivo a riformare la disciplina del 5 per mille, indicazione pure contenuta nella delega fiscale, legge n. 23 del 2014. Già nella Legge di stabilità 2015 si è proceduto ad innalzare il limite per la deducibilità e la detraibilità delle erogazioni liberali e a stanziare 500 milioni di euro a sostegno di questo strumento. Nella delega in oggetto si chiede stabilità a questo importo e si indicano criteri più selettivi e un sistema più trasparente sull'uso dei fondi.

 

Un fondo di 50 milioni per gli investimenti

Nello stabilire una clausola di invarianza degli oneri finanziari, l’articolo 10 pone una deroga finalizzata alla costituzione di un fondo rotativo destinato a sostenere gli investimenti di questo settore. La dotazione sarà pari a 50 milioni di euro.

 

Check point annuali

Infine l'articolo 11 prevede che entro il 30 giugno di ogni anno il Ministero del lavoro e delle politiche sociali trasmetta alle Camere una relazione sull'attività di vigilanza svolta ai sensi dell'articolo 7. S’intende così rafforzare il ruolo del Parlamento in ordine al controllo, stimolo e indirizzo dell'azione del Governo.

 

 


Dossier n. 79 Ufficio Documentazione e Studi 9 aprile 2015

79_RIFORMA DEL TERZO SETTORE (1)

 


 

DEPUTATI PD _ TERZO SETTORE

TESTO DEL DISEGNO DI LEGGE