Servono pianificazione pubblica e puntare sulla qualità

 

Sulla questione acqua è bene fermarsi. L’attuale sistema delle concessioni ha fallito tutti i suoi obiettivi: di fatto non consente la realizzazione di impianti neppure là dove sia possibile, produce contenzioso e allarma le popolazioni.

Ieri sono intervenuto alla riunione dell’Intergruppo parlamentare montagna, alla Camera dei Deputati, con i rappresentanti regionali sul tema delle concessioni idroelettriche.

La schizofrenia è confermata dagli episodi bellunesi: quando si pensa di costruire centraline assurde come quelle a Ponte nelle Alpi, Belluno e Limana vuol dire aver superato ogni limite tecnico e di buon senso.

La tutela e la gestione di un bene comune come l’acqua non può più essere affidato all’attuale regime di rilascio delle concessioni con conseguenti incertezze per chi investe, contenzioso infinito per gli enti pubblici e conflittualità sociale nei territori.

La mano pubblica, su beni comuni come l’acqua deve essere qualificata e forte. Il sistema attuale delle concessioni al contrario squalifica il comparto e stiamo di fatto parlando di una giungla di richieste. Io credo invece che dovremo muoverci nella direzione di una certa pianificazione territoriale da parte del pubblico che includa non solo le possibili nuove concessioni, ma probabilmente dovremo rimettere al centro la pianificazione degli impianti esistenti, molti dei quali risalgono a 20, 30 o 40 anni fa.

È riconosciuto da molti esperti che la capacità di crescita dell’idroelettrico è limitata. Sarebbe irragionevole continuare a pensare a un’espansione quantitativa, dobbiamo puntare invece sulla qualità e, in un’ottica di pianificazione, avere regole chiare sui luoghi in cui è possibile avviare impianti idroelettrici e di quale portata e dove al contrario non sarà possibile in nessun caso.

Invece, siccome manca del tutto la pianificazione delle Regioni, cioè non si dice dove è possibile e dove non è possibile costruire impianti, negli ultimi anni c’è stato un approccio selvaggio a causa di come dovrebbero essere rilasciate le concessioni.

Nell’arco alpino ci sono state 3.500 richieste di concessione per la costruzione di impianti di sfruttamento idroelettrico. Di questi, pochissimi sono stati costruiti, per tre motivi: 1) la proposta di un’impresa viene messa a gara dalla Regione e quindi assegnata al miglior offerente. Questo crea conflitti che nella maggior parte dei casi portano dritti nelle aule giudiziarie e allungano a dismisura i tempi; 2) la valutazione di impatto ambientale viene fatta successivamente all’assegnazione della gara; 3) Non sapendo se e dove è possibile realizzare un impianto le imprese presentano ciascuna decine di proposte e ottengono una conflittualità sociale nei territori che ormai è restia all’ascolto anche nei pochi casi in cui per motivi di ridotto impatto ambientale o di rapporto costi benefici sarebbe corretto realizzare impianti idroelettrici.

 


Belluno, 28 Giugno 2017