Sono oltre venti anni che conosciamo i problemi evidenziati dallo studio della Cgia di Mestre commissionato dalla Provincia. Ora, immagino, ci saranno reazioni le più disparate per attribuire le responsabilità a questa o quella amministrazione locale, provinciale o regionale, a difendere il proprio operato e a delegittimare quello degli avversari. La politica, come spesso avviene tende a guardarsi l’ombelico. Forse è il caso di dirsi due cose: la prima, per quante azioni siamo riusciti a intraprendere non hanno dato i risultati attesi, almeno in termini di contrasto dello spopolamento e dell’invecchiamento; la seconda, smettiamola con il confronto con le province autonome di Trento e Bolzano, almeno per due ragioni: non abbiamo avuto e non avremo mai le medesime condizioni di autonomia quindi è come comparare mele e ananas; l’abbandono della montagna è verso la pianura, le città e per quanto riguarda i giovani verso altri paesi prevalentemente europei, non verso le valli trentine o altoatesine. Le persone e le famiglie vanno dove si concentrano maggiori opportunità di lavoro, produzione di ricchezza, sociali, di salute, culturali, ecc.. Non a caso Belluno e l’intero sistema della Val Belluna costituiscono un argine debolissimo allo spopolamento generale.

Eppure si può fare ancora molto, non sono convinto che siamo sul baratro. Dovremmo continuare nel riassetto istituzionale della provincia. La frammentazione amministrativa è moltiplicata dalla presenza di una pletora di soggetti come il Consorzio, le Unioni montane, due Gal che a loro volta si esprimono in vari ambiti ottimali. I processi decisionali sono di conseguenza lenti, frastagliati e talvolta conflittuali. In questo senso, un certo livello di pianificazione forse dovremmo recuperarlo perché altrimenti ciascuna amministrazione va per conto suo senza una visione unitaria e degli obiettivi comuni. C’è poi un lavoro da fare sul modello di sviluppo e sulle infrastrutture che lo sostengono. Siamo ancora una provincia ad alto tasso di manifatturiero. Sono almeno 15 anni che ci diciamo che questo modello porta quantità ma non qualità, difficilmente attrae lavoratori qualificati e competenze specialistiche per le quali i nostri giovani spendono anni sui libri nelle università. Dobbiamo avere la lungimiranza e l’umiltà di rivedere il modello di sviluppo per coniugare le innovazioni tecnologiche con i due settori che possono valorizzare le nostre unicità, cioè agricoltura e turismo. Una nuova generazione di bellunesi deve fare la scelta coraggiosa di ritornare a vivere la montagna reinventando il modo di coltivare la terra, di produrre attività artigianali e di fare ospitalità. Perché ciò accada, le precondizioni le deve creare il sistema pubblico, mantenendo alto il livello di investimenti come fatto negli ultimi cinque anni e portare a termine opere che da un lato facilitino i collegamenti tra la montagna e la pianura e dall’altro costituiscano un fattore di attrazione turistica ed economica, come la ferrovia e le il sistema delle piste ciclabili. Servono scelte radicali e coraggiose, come quelle di investire su un territorio sostenibile, escludendo il prolungamento dell’autostrada e investendo invece nella riqualificazione del sistema stradale esistente, percorso già cominciato in questi anni.

 


Belluno 16 maggio 2018