All’inizio di settembre – con una nota inviata alla Presidente della Camera Laura Boldrini – ho chiesto  di poter inserire in apertura dell’ordine del giorno della seduta di oggi, martedì 8 ottobre 2013, un momento di ricordo e commemorazione del disastro del Vajont.

La mia richiesta è stata accettata e oggi – alla Camera dei Deputati – abbiamo ricordato la Tragedia del Vajont – a 50 anni dal disastro.


IL MIO DISCORSO  IN OCCASIONE DEL 50° ANNIVERSARIO DEL VAJONT:

Presidente, Colleghe e Colleghi,

innanzitutto devo ringraziare la presidenza per aver consentito questo semplice momento di memoria, semplice e in punta di piedi, perché le istituzioni e la politica devono ricordare la tragedia del Vajont con la testa abbassata, troppe omissioni e responsabilità si sono accumulate in questa vicenda, e “lo Stato” – quello di allora e quello di oggi – deve in ogni caso deve chiedere scusa.

LA STORIA

Era il 9 ottobre di 50 anni fa quando un’onda alta 250 metri si innalzò oltre la diga.

Si stima che si sollevarono al cielo circa 50 milioni di metri cubi d’acqua che poi si riversarono con un impeto indescrivibile, sulla gola del Vajont.

Alle ore 22.39, circa 270 milioni di m³ di roccia (un volume 385 volte più grande della Basilica di S. Pietro che è di circa 700.000 metri cubi) scivolarono nel bacino artificiale sottostante creato dalla diga del Vajont, provocando un’onda di piena che in parte risalì il versante opposto, distruggendo tutti gli abitati lungo le sponde del lago nel comune di Erto e Casso, scavalcò il manufatto (che rimase sostanzialmente intatto) riversandosi nella valle del Piave, distruggendo quasi completamente il paese di Longarone e i suoi limitrofi.

Vi furono 1910 vittime di cui 1450 a Longarone, 109 a Codissago e Castellavazzo, 158 a Erto e Casso e quasi 200 originarie di altri comuni.

L’11 ottobre il giornalista bellunese Dino Buzzatti, profondo conoscitore della zona, descrisse la tragedia nel modo più semplice possibile; credo che quella descrizione possa aiutare tutti voi a comprendere fino in fondo cos’è accaduto: “ un sasso è caduto in un bicchiere d’acqua e l’acqua è traboccata sulla tovaglia. Tutto qui. Solo che il bicchiere era alto centinaia di metri e il sasso era grande come una montagna e di sotto, sulla tovaglia, stavano migliaia di creature umane che non potevano difendersi”.

L’evento fu dovuto ad una frana caduta dal versante settentrionale del monte Toc, nell’uso dialettale con il termine Toc si intende definire qualcosa di fragile, che si sfalda, sarebbe bastata questa semplice considerazione per capire che quella montagna era assolutamente instabile.

CHI PRIMA AVEVA CAPITO

All’inizio degli anni ‘60 lo Stato – uno Stato che si preparava a vivere il boom dello sviluppo e del progresso – era al di sopra di ogni sospetto, e qualsiasi comunità o persona osasse avanzare dei dubbi sul suo operato veniva etichettato come sovversivo.

Così è stato anche per i comitati che protestavano e denunciavano contro la costruzione della diga (soprattutto di Erto e Casso), e così è stato per la grande giornalista dell’Unità, Tina Merlin, mandata in quei luoghi a denunciare i rischi e le vergognose speculazioni che c’erano dietro a quell’opera.

Pensate, cari colleghi, che anche successivamente al disastro, quando risultarono chiare a tutti le tristi verità della Merlin, le istituzioni e le comunità non riconobbero a lei e a quei pochi “contestatori” il merito di aver capito prima, tanto che i comuni del Vajont solo nell’ultimo decennio riconoscono il valore della giornalista con momenti di memoria.

IL RICONOSCIMENTO DELLA MEMORIA

Oggi sappiamo che, oltre alle sentenze di condanna dei Tribunali, anche  il Parlamento ha condannato formalmente il cinismo, il desiderio di guadagno, le speculazioni e gli interessi personali che hanno portato al sacrificio di vite umane innocenti in situazioni in cui, contro natura, gli uomini, agli occhi di altri uomini, valgono meno del denaro.

Infatti il 14 giugno del 2011, il Senato della Repubblica, ha approvato la legge che promuove per il 9 ottobre la “Giornata nazionale in memoria delle vittime dei disastri ambientali ed industriali causati dall’incuria dell’uomo” attraverso un iter complesso partito molto anni fa e grazie alla tenacia delle associazioni dei sopravvissuti (Coletti) e superstiti (Migotti).

Per celebrare questa giornata, che accomuna il ricordo del disastro anche quelle di altre tragedie italiane si è scelta proprio la data dell’anniversario del Vajont.

Oggi, a differenza degli anni scorsi, siamo qui con la certezza che la tragedia non sia solo la nostra tragedia, che le perdite non siano solo le nostre perdite, ma che siano tragedia e perdite dell’Italia intera.

Dall’altro lato, in questa occasione, anche a nome dei Sindaci dei Comuni del Vajont, dico che tanto importante è il riconoscimento del 9 Ottobre quale Giornata della Memoria, quanto fuorviante e lesivo è il termine “incuria” per i sentimenti di coloro che tutto hanno perso durante la tragedia.

Incuria non è assolutamente il termine corretto per indicare le pesanti responsabilità umane in questa tragedia.

In questo senso bene ha fatto il Ministro Orlando, nella recente visita in occasione del raduno dei soccorritori, a portare le scuse ufficiali dello Stato alle popolazioni colpite e a ribadire, ancora una volta, che il termine incuria nulla centra con la tragedia del Vajont.

Oggi quindi  propongo formalmente al Parlamento italiano di rivedere la Legge 14 giugno 2011, n. 101 “Istituzione della Giornata nazionale in memoria delle vittime dei disastri ambientali e industriali causati dall’incuria dell’uomo” rimuovendo dal testo il termine incuria.

Anche la comunità internazionale ha riconosciuto il valore della memoria del Vajont, infatti nel febbraio 2008, nel corso della presentazione dell’Anno internazionale del pianeta Terra all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il disastro del Vajont fu citato – assieme ad altri quattro – come un caso esemplare di “disastro evitabile” causato dalla scarsa comprensione delle scienze della terra e – nel caso specifico – dal «fallimento di ingegneri e geologi nel comprendere la natura del problema che stavano cercando di affrontare»

LA RICOSTRUZIONE

Nelle ore immediatamente dopo la tragedia un’altra onda, di enorme dimensioni, invase quelle comunità, quella della solidarietà e del volontariato.

In quelle ore – in maniera assolutamente spontanea – si costruì la prima vera cellula di quello che oggi è uno degli orgogli italiani, il sistema di protezione civile le cui radici sono fortemente basate sull’opera dei volontari che in quell’occasione con pochi mezzi ma tanta energia lenirono le sofferenze dei pochi superstiti.

E poi l’impegno delle comunità nella ricostruzione, un impegno che ha permesso di recuperare territorio e tessuto socio economico.

La legge per il Vajont è stata il punto di svolta nell’assetto economico della Provincia, anche se a consultivo l’intervento statale non fu particolarmente oneroso per le casse pubbliche. Gli stanziamenti per il Vajont si collocano infatti, solamente al quattordicesimo posto nella lista della spesa pubblica nazionale destinata a ricostruzioni conseguenti a calamità ed emergenze.

Ma anche la fase della ricostruzione e degli incentivi destinati ai sopravvissuti e ai danneggiati è intrisa di ingiustizie e umiliazioni per quelle popolazioni, per troppi anni abbandonate nell’indifferenza, indifferenza scardinata dalla poesia teatrale di Paolini e dalle immagini di Martinelli, che quarant’anni dopo il disastro hanno rifatto vivere la vicenda nella sua dimensione  apocalittica e criminale.

Come ho ben spiegato il disastro del Vajont non è dovuto all’incuria ma è sicuramente una grande occasione per ricordare che in Italia fra il 1960 e il 2012 le frane hanno provocato 3413 morti, le inondazioni 762: troppi!

La lezione del Vajont è anche riconoscere il valore della prevenzione del dissesto nel nostro paese, stanziando di conseguenza le risorse necessarie come richiesto nella recente risoluzione approvata in commissione ambiente, che impegna il governo nello stanziare almeno 500 milioni di euro all’anno per la cura e la tutela del territorio.

DOPO IL CINQUANTESIMO

L’occasione del cinquantesimo anniversario della catastrofe che ricorre quest’anno rappresenta per le popolazioni del Vajont il momento per consegnare solennemente alla storia la loro tragedia, fatta di dolore, sofferenza e ingiustizie, ma anche di solidarietà, orgoglio e rinascita.

E’ una grande occasione proprio per far sintesi e offrire alla nostra comunità e alle nuove generazioni il forte messaggio che la tragedia del Vajont rappresenta nel mondo.

L’area del Vajont è visita annualmente da centinaia di delegazioni nazionali e internazionali per motivi di studio e ricerca, e da oltre 100 mila visitatori. Occorre sottolineare che il “Vajont” non è promozionato con misure di marketing, ma solo attraverso il “passaparola”.

 Ribadire il valore della memoria non vuol dire avere la testa rivolta indietro, vuol dire invece riconoscere il valore delle esperienze come fondamentali per la crescita educativa e culturale di una popolazione. Lavorare sulla memoria, quindi, per riacquisire una memoria collettiva è una sorta di dovere morale che abbiamo nei confronti delle vittime innocenti.

Bene ha fatto, in questo senso, il Ministro Carrozza in occasione della sua recente visita ad assumere in se l’impegno che la storia del Vajont entri strutturalmente nei processi formativi di tutti i nostri ragazzi.

La scommessa dei prossimi anni per le comunità del Longaronese, e più in generale della intera provincia, sono la pianificazione di un nuovo modello di sviluppo che consenta la permanenza, la vita  e lo sviluppo in questi territori tanto belli quanto difficili.

La Provincia di Belluno è da quasi 2 anni in una situazione di incertezza istituzionale che, sommata alle particolari condizioni morfologiche del territorio interamente montano – confinante con stato estero e compreso tra due regioni dotate di particolari forme di autonomia – è causa di continue lacerazione del tessuto sociale della comunità.

Tutto questo si traduce in evidenti problemi di ordine demografico e sociale di un territorio che  chiede da decenni forme speciali di autonomia.

Lasciatemi quindi chiudere con un auspicio:

Il 26 giugno 2009 il Comitato Esecutivo della Convenzione sul patrimonio materiale dell’umanità dell’UNESCO, riunita a Siviglia, ha dichiarato le Dolomiti Patrimonio dell’Umanità.

Ecco la memoria del Vajont è anche riconoscere che lo sviluppo del nostro territorio non potrà più essere schiavo dell’avidità di pochi che troppo spesso in passato hanno sfruttato la bellezza e le risorse naturali della nostra Provincia; spero che questa straordinaria bellezza possa essere gestita, come dicevo in apertura, in punta di piedi, mettendola a disposizione di tutti quelli che in queste valli continuano a vivere, non dimenticando e rispettando la lezione della tragedia del Vajont.

Chiudo ringraziando a nome delle comunità colpite tutti coloro che hanno e vorranno onorare la memoria con una visita in quei luoghi; sottolineando che mai come quest’anno il Governo (con il premier Enrico Letta sabato, i ministri Zanonato, Orlando, Carrozza) e lo Stato (con il presidente del Senato Grasso domani) sono stati presenti nella nostra Provincia per onorare la memoria del Vajont.

Grazie!


Il testo del Discorso è più lungo rispetto al video in quanto in Aula mi hanno concesso meno minuti rispetto a quanti precedentemente concordati.

Roma, 8/10/2013

 

vajont-2