Il 6 novembre la Camera dei Deputati discuterà il distacco di Sappada dal Veneto. Martedì 31 ottobre sarà invece la Commissione Affari Costituzionali, sempre della Camera, a discutere e votare gli emendamenti.
I gruppi della Lega Nord, M5S e Forza Italia hanno già annunciato il proprio voto favorevole al passaggio. Purtroppo, dico con amarezza, anche molti esponenti politici bellunesi si sono adeguati, pensando di poter affrontare i complessi problemi della montagna con azioni da francoboll.
Rimane per me inconcepibile, che a decidere il destino dei comuni referendari sia in questo caso una Regione che ha un trattamento speciale e che avrebbe potuto in questi anni contribuire – non solo in termini economici, ma soprattutto di idee e di progettualità – alla costruzione di un’intesa strategica come è stato fatto intelligentemente sull’altro lato da molti anni.
Ieri in Commissione, ho chiesto l’audizione del presidente della Regione Luca Zaia o, in sua sostituzione, del presidente del consiglio regionale Ciambetti. Entrambe le richieste sono state negate, in quanto la parte istruttoria è stata gestita tutta dal Senato.
Rischiamo oggi di pagare errori sedimentati nella storia, quando tanti enti, in primis la Regione Veneto, hanno avallato i referendum e quindi il processo di disgregazione della Provincia di Belluno. Per troppi anni abbiamo pensato di risolvere i problemi cavalcando il malcontento popolare e assecondandone le scorciatoie.
Mi trovo oggi tra le poche voci riflessive, insieme al presidente della Provincia Roberto Padrin e al Partito Democratico provinciale, tra quanti provano a stimolare il dibattito pubblico con un ragionamento forse difficile, ma che si ostina a voler affrontare i problemi della montagna nel suo insieme e a considerare legittime le richieste di equità di tutti i bellunesi.
In questo contesto, i cittadini di Sappada sono le prime vittime della demagogia e della mancanza di risposte sia nazionali che regionali.