favorevole agli incentivi economici per i dipendenti pubblici che operano in località periferiche e disagiate
Non ci sono solo le differenze tra nord e sud del Paese. Ce ne sono altre, forse ancora più profonde e diffuse, tra centri urbani e periferie. Per questo rimango fortemente favorevole agli incentivi economici per quei dipendenti pubblici che accettano di lavorare nelle aree interne e marginali del Paese. Intervengo nel dibattito di questi giorni sull’autonomia ribadendo la necessità di una riforma che possa aumentare e migliorare la qualità dei servizi su tutto il territorio nazionale, non solo nelle grandi città.
Prendiamo il caso dei medici e degli insegnanti. Se come ente pubblico non offro uno stipendio più alto per compensare la dislocazione periferica o l’impossibilità di lavorare accanto a team specializzati, quale sarà il giovane medico che accetterà di fare turni massacranti all’ospedale di Pieve di Cadore o di Agordo, nel Bellunese, dove le prospettive di carriera e di crescita professionale sono oggettivamente inferiori rispetto a una clinica universitaria? E infatti non se ne trovano, perché le regioni non hanno una leva sufficiente.
Discorso simile vale per gli insegnanti: Come possiamo mettere sullo stesso piano, di relazioni professionali e di possibilità di carriera tra il docente di un liceo di Padova e l’insegnante di una scuola media ad Auronzo di Cadore?. Sono oggettivamente due cose diverse e come tali vanno affrontate, responsabilizzate e riconosciute, in primo luogo economicamente. Chi lavora in situazioni di disagio e in località isolate deve essere pagato di più.
Non sarà facile trovare i criteri, però la chiusura netta alla possibilità di offrire incentivi da parte delle regioni, mi sembra miope e tradisce il desiderio di non volere affrontare i problemi per quello che sono. Possiamo studiare il modo di riconoscere un differenziale in base all’altitudine, alla distanza dai capoluoghi o quello che vogliamo, ma in fin dei conti dovremmo ragionare sul fatto che gli enti territoriali, in primis le regioni, si prendano la responsabilità di affrontare situazioni trascurate. In certi settori, come la scuola e la sanità, la sopravvivenza dei servizi nelle aree periferiche del Paese, dal Piemonte alla Calabria, dipendono da questi fattori. Il freno o l’accelerazione dello spopolamento di queste zone sarà una diretta conseguenza delle politiche che sapremo e potremo attuare.
Roma, 12 Luglio 2019