Sentenza Berlusconi: legge “Severino” chiarissima, le norme sono automaticamente applicabili
Le norme relative alla incandidabilità e decadenza dalle cariche elettive sono di natura amministrativa e in quanto tali immediatamente applicabili.
Lo afferma chiaramente una delibera della Civit – la commissione indipendente che deve coordinare l’applicazione di tutte le norme contenute nella legge per combattere la corruzione – relativamente all’applicazione del decreto legislativo n.39/2013 emanato in attuazione dei commi 49 e 50 dell’art.1 della legge Severino.
Il dibattito sorto intorno agli effetti connessi alla condanna definitiva di Berlusconi, sembra solo un palliativo per spostare sul un piano giuridico un tema che invece sembra molto semplice leggendo le norme e gli atti interpretativi delle stesse.
Non a caso già più di un politico eletto dopo l’entrata in vigore della legge ha “subito” gli effetti di quelle norme dovendo scegliere se restare in carica da sindaco o da parlamentare o da componente del governo.
In altri casi gli amministratori sono stati chiamati a scegliere fra la carica di sindaco e quella di dirigente di una ASL o di una impresa pubblica.
E proprio rispetto all’entrata in vigore delle norme contenute nei decreti legislativi emanati in attuazione della legge di delega 190/2012 si è espressa la Civit che ha sancito un principio chiaro: sono norme inerenti l’elettorato passivo e la possibilità di ricoprire cariche elettive.
In quanto tali trovano applicazione automaticamente e se il legislatore avesse voluto dilazionarne gli effetti avrebbe dovuto dirlo esplicitamente (applicazione del principio secondo cui la legge dice quello che vuole e non dice quello che non vuole).
Nel caso del Presidente Berlusconi esiste poi un ulteriore elemento: egli già al momento della presentazione della candidatura era a conoscenza del percorso processuale e della vigenza della norma della legge. Egli era quindi nelle condizioni di poter evitare una ipotetica decadenza non accettando la candidatura. Allo stesso modo sapeva che una condanna per una pena superiore a due anni avrebbe prodotto la decadenza come espressamente stabilito dalla legge. Si veda a tal fine proprio l’art.3 del decreto delegato n.235 che si preoccupa di stabilire cosa accada ad un parlamentare qualora durante il mandato incorra in una delle cause di incandidabiltà previste dall’art.1.
Questo Parlamento è stato eletto con la vigenza di queste norme. Chi ha accettato la candidatura non doveva trovarsi in una delle cause ostative richiamate dall’art.1 altrimenti la sua candidatura sarebbe stata respinta. Se invece la causa di incandidabilità fosse sopraggiunta alla presentazione della candidatura ma prima dell’atto di proclamazione dell’eletto, la proclamazione stessa non sarebbe avvenuta.
Senza avere la pretesa né la presunzione di scrivere un parere giuridico a me sembra che le norme a cui facciamo riferimento costituiscano un corpo normativo unico che disciplina la incandidabilità e la decadenza dalla carica di amministratore locale e parlamentare. Cambia soltanto la procedura per giungere alla decisione finale perché nel caso dei parlamentari vale la riserva di cui all’art.66 della costituzione e quindi la decadenza deve essere votata dall’Aula di appartenenza.
Dal punto di vista sostanziale non esiste alcuna differenza ed allora non si capisce perché un sindaco debba essere dichiarato decaduto in virtù dell’applicazione della legge Severino ed un parlamentare condannato con sentenza passata in giudicato debba avere un quarto grado di giudizio attraverso il ricorso alla Corte Costituzionale.
Il 9 Settembre la Giunta del Senato avvierà e forse concluderà l’esame della questione.
Sarà la Giunta stessa a stabilire le modalità organizzative ed i tempi della discussione.
Ma la sostanza delle cose a legislazione vigente resta questa e soluzioni diverse dal voto sulla decadenza minerebbero irrevocabilmente il nostro ordinamento e le poche regole condivise che costituiscono “la religione civile” di un Paese.
testo di Angelo Rughetti – Deputato PD